Il grido è senza dubbio la più celebre delle opere munchiane e una delle più sottilmente inquietanti di tutto il nostro secolo. Il senso profondo del dipinto, realizzato nel 1893, lo ritroviamo descritto dall'articolista stesso in alcune pagine del suo diario:
"Camminavo lungo la
strada con due miei amici - quando il sole tramontò - il cielo si tinse
all'improvviso di rosso sangue - mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un
recinto - sul fiordo neroazzurro e sulla città c'erano sangue e lingue
di fuoco - i miei nemici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura
- e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura."
La scena, fortemente autobiografica, è ricca di riferimenti simbolici.
L'uomo in primo piano esprime, nella solitudine della sua individualità,
il dramma collettivo dell'umanità intera. Il ponte, la cui prospettiva
si perde all'orizzonte, richiama i mille ostacoli che ciascuno di noi deve superare
nella propria esistenza, mentre i presunti "amici" che continuano
a camminare, incuranti del nostro sgomento, rappresentano con cruda disillusione
la falsità dei rapporti umani.
Ma, come sempre in munch, i contenuti non sono mai disgiunti dalla forma e qui
la forma perde qualsiasi residuo naturalistico diventando preda delle angoscie
più profonde dell'artista. l'uomo che leva, alto e inascolato, il suo
urlo terribile è un essere serpentinato, quasi senza scheletro, fatto
della stessa materia filamentosa con cui è realizzato il cielo infuocato
o il mare oleoso.
Al posto della testa vi è un cranio repellente, senza capelli, come di
un sopravvissuto alla catastrofe atomica. Le narici sono mostruosamente ridotte
a due fori, gli occhi sbarrati sembrano aver visto un abominio immondo, le labbra
nere rimandano alla putrescenza dei cadaveri. É l'urlo disperato e primordiale
che esce da quella bocca staziata si propaga nelle convulse pieghe di colore
del cielo, della terra e del mare. É l'urlo di chi si è perso
dentro se stesso e si sente solo, inutile e disperato anche fra gli altri.
Il dipinto, che destò enorme scalpore, faceva in realtà parte
di un'opera più complessa, una sorta di grandiosa narrazione ciclica,
intitolata "Il Fregio della Vita" (1893-19189) e composta da numerose
tele a loro volta suddivise in quattro grandi temi: "Il risveglio dell'amore",
"L'amore che fiorisce e passa", "Paura di vivere", "La
morte". Evidentemente "Il grido" fa parte del terzo soggetto.